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A chi spetta l’onere della mediazione nell’opposizione al decreto ingiuntivo? La Suprema Corte risolve il contrasto creatosi nella giurisprudenza di merito

A chi spetta l’onere della mediazione nell’opposizione al decreto ingiuntivo? La Suprema Corte risolve il contrasto creatosi nella giurisprudenza di merito

Cassazione civile, sez. III, 3 dicembre 2015, n. 24629

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

 La (omissis) ha proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi avverso la sentenza del 16.5.2013 con la quale la Corte d’Appello di Torino – in un giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo emesso “nei suoi confronti su ricorso della (omissis) per il pagamento di canoni di locazione – aveva confermato la sentenza di primo grado che aveva dichiarato improcedibile l’opposizione proposta per il mancato avvio della mediazione obbligatoria ai sensi dell’art. 5 d.lgs n. 28 del 2010. Resiste con controricorso la (omissis)-

MOTIVI DELLA DECISIONE

In via preliminare va disattesa l’eccezione di inammissibilità del ricorso sollevata dalla resistente.

 Vero è che è ammissibile l’impugnazione con la quale l’appellante si limiti a dedurre soltanto vizi di rito avverso una pronuncia che abbia deciso anche nel merito in senso a lui sfavorevole, solo ove i vizi denunciati comporterebbero, se fondati, una rimessione al primo giudice ai sensi degli artt. 353 e 354 c.p.c. Nelle ipotesi in cui, invece, il vizio denunciato non rientra in uno dei casi tassativamente previsti dai citati artt. 353 e 354 c.p.c, è necessario che l’appellante deduca ritualmente anche le questioni di merito.

 Diversamente, l’appello fondato esclusivamente su vizi di rito è inammissibile, oltre che per un difetto di interesse, anche per non rispondenza al modello legale di impugnazione (S.U. 14.12.1998

 n. 12541; da ultimo Cass. 29.1.2010 n. 2053; Cass.25.9.2012 n. 16272) .

 Ma questo solo se la pronuncia abbia deciso anche nel merito in senso sfavorevole all’impugnante; situazione che non si è verificata nel caso in esame di pronuncia, solo in rito, sulla improcedibilità della opposizione.

 Con il primo motivo la ricorrente denuncia violazione, falsa applicazione di norma di diritto (art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c): in particolare, violazione dell’art. 5 D.lgs 28/2010. La disposizione di cui all’art. 5 d.lgs. n. 28 del 2010, di non facile lettura, deve essere interpretata conformemente alla sua ratio.

 La norma è stata costruita in funzione deflattiva e, pertanto, va interpretata alla luce del princìpio costituzionale del ragionevole processo e, dunque, dell’efficienza processuale. In questa prospettiva la norma, attraverso il meccanismo della mediazione obbligatoria, mira – per così dire – a rendere il processo la extrema ratio: cioè l’ultima possibilità dopo che le altre possibilità sono risultate precluse.

 Quindi l’onere di esperire il tentativo di mediazione deve allocarsi presso la parte che ha interesse al processo e ha il potere di iniziare il processo.

 Nel procedimento per decreto ingiuntivo cui segue l’opposizione, la difficoltà di individuare il portatore dell’onere deriva dal fatto che si verifica una inversione logica tra rapporto sostanziale e rapporto processuale, nel senso che il creditore del rapporto sostanziale diventa l’opposto nel giudizio di opposizione.

 Questo può portare ad un errato automatismo logico per cui si individua nel titolare del rapporto sostanziale (che normalmente è l’attore nel rapporto processuale) la parte sulla quale grava 1’onere.

 Ma in realtà – avendo come guida il criterio ermeneutico dell’interesse e del potere di introdurre il giudizio di cognizione – la soluzione deve essere quella opposta.

 Invero, attraverso il decreto ingiuntivo, l’attore ha scelto la linea deflattiva coerente con la logica dell’efficienza processuale e della ragionevole durata del processo.

 È l’opponente che ha il potere e l’interesse ad introdurre il giudizio di merito, cioè la soluzione più dispendiosa, osteggiata dal legislatore.

 È dunque sull’opponente Che deve gravare l’onere della mediazione obbligatoria perché è l’opponente che intende precludere la via breve per percorrere la via lunga.

 La diversa soluzione sarebbe palesemente irrazionale perché premierebbe la passività dell’opponente e accrescerebbe gli oneri della parte creditrice.

 Del resto, non si vede a quale logica di efficienza risponda una interpretazione che accolli al creditore del decreto ingiuntivo l’onere di effettuare il tentativo di mediazione quando ancora non si sa se ci sarà opposizione allo stesso decreto ingiuntivo.

 È, dunque, l’opponente ad avere interesse ad avviare il procedimento di mediazione pena il consolidamento degli effetti del decreto ingiuntivo ex art. 653 c.p.c..

 Soltanto quando l’opposizione sarà dichiarata procedibile riprenderanno le normali posizioni delle parti: opponente convenuto sostanziale, opposto – attore sostanziale.

 Ma nella fase precedente sarà il solo opponente, quale unico interessato, ad avere l’onere di introdurre il procedimento di mediazione; diversamente, l’opposizione sarà improcedibile.

 Il motivo, quindi, non è fondato.

 Con il secondo motivo si denuncia vizio di omessa, insufficiente, e comunque contraddittoria, motivazione circa il fatto controverso e decisivo per il giudizio (art. 360, comma 1°, n. 5, c.p.c), Il motivo è inammissibile perché aspecifico.

 La ricorrente, al di là della crìtica, soltanto enunciata, non specifica, né riporta in ricorso, quali siano le parti della motivazione insufficienti, carenti o contraddittorie, né indica quali siano le ragioni della decisività degli errori motivazionali; vai a dire la loro rilevanza ai fini della decisione.

 Conclusivamente il ricorso è rigettato.

 La novità delle questioni trattate giustifica la compensazione delle spese.

 Sussistono le condizioni per l’applicazione del disposto dell’art.

 13 e. 1 quater dpr n. 115/2002 introdotto dalla legge 228 del 2012.

P-Q.M.

La Corte rigetta il ricorso Compensa le spese.

 Ai sensi dell’art. 13, comma 1 guater del d.p.r. n. 115/2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1- bis, dello stesso art. 13.

 Così deciso in Roma, il giorno 7 ottobre 2015, nella camera di consiglio della terza sezione civile della Corte di cassazione.